Buona Lettura: La vita accanto di M. Veladiano

Rebecca è brutta, nata brutta e cresciuta irrimediabilmente brutta. In una società in cui non è ammissibile la bruttezza, nascere brutti sembra il peggiore dei mali. Peggio ancora dell’avere una malattia perchè almeno quella concede la pietà, breve sentimento che incolla lo sguardo altrui. Una bimba brutta, invece, fa distogliere ogni forma di sguardo per paura che questo contamini il fruscio delle sete e degli unguenti in cui vengono avvolti i corpi in una faticosissima ricerca di onnipresenza spazio – temporale.

La madre dopo la sua nascita si perderà nei meandri di una depressione post partum che si ciba di un dolore lontano e che la porterà inevitabilmente a non guardare Rebecca per non vedere la sua impotenza nel proteggersi e nel proteggerla. “Come certi mobili che hanno pochi buchi fuori, ma i tarli li hanno divorati dentro e se li tocchi si sbriciolano, basta un niente. – Tutto. Sapeva tutto e la sua testa era piena di paura. Non si può sapere tutto e vivere”

Rebecca, nella sua fantasia di bimba che tutto spiega a partire da sè, motiva subito l’assenza dello sguardo materno come inevitabile punizione dell’affronto alla bellezza della madre, nessuno capisce e nessuno spiega. “Ma non ci sono parole per raccontare tutto, non a quell’età. Qualche volta le si impara più tardi, quando hanno perso odore, colore, e soprattutto dolore.”

“L’adolescenza sorprese a tradimento la mia vita e la schiantò con la furia indifferente e sciatta di un uragano senza che nessuno se ne accorgesse.”

Affina così le sue capacità di rendersi invisibile al mondo. Troverà l’interesse di donne segnate a loro volta dal dolore e, quindi, capaci di vedere oltre lo strato patinato di quelle frottole che ci raccontiamo per non occuparci di noi, per far sparire quel neo che anche la donna più bella trova nella sua anima.

Il dono che la vita ha riservato a Rebecca è una straordinaria capacità pianistica. La musica le permetterà di collocarsi nel mondo poeticamente, potendone cogliere il sapore succoso dell’intimità che possiamo raggiungere con la vita. “La musica afferrò la mia vita. La consapevolezza tutta nuova che ci sia aspettava qualcosa da me riempiva i miei giorni di sentimenti che non conoscevo e che prendevano il posto di quella specie di attesa vuota in cui prima le mie energie si erano congelate”

“Quel giorno non le risposi. Mi mancavano le parole per dire i pensieri. Forse mi mancavano anche i pensieri. Nessuno aveva mai chiesto il mio parere su qualcosa, o se avevo frequentato l’asilo, o come passavo le giornate”. Abbiamo bisogno di pochi, intensi sguardi interessati per poter godere appieno di tutti i nostri nei.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *