Ma l’amore che cos’è…

Nelle varie forme che può assumere, l’amore è una vicenda con cui tutti, prima o poi, ci confrontiamo.  L’amore che inizia, che finisce, che vorremmo, che neghiamo, che rifiutiamo. L’amore per se stessi, per l’altro, per un’idea, per la vita.

In tanti, filosofi, artisti, scienziati hanno parlato d’amore, hanno provato a descriverlo, a darne un senso, a definirlo. Anche la gente comune ne parla tantissimo, ognuno esprime il suo pensiero come fosse verità universale.

Nonostante le milioni di parole spese per parlarne e l’uso/abuso che se ne fa nella vita di tutti i giorni, l’amore continua ad essere connotato di mistero, una rete in cui rimaniamo impigliati e che siamo costretti a viverci senza capire, il più delle volte, quello che ci succede.

Amore amore che cos’è

questa porta che si è aperta

quest’onda che ci trasporta

chissà dove ci porta

… Ma l’amore che cos’è?

bravo chi lo sa capire

(L. Carboni, 1992)

Ricordo una vignetta con due teneri personaggi e la frase “love is…”  completata con svariati contenuti: da un incipit ridotto alla varietà dei sentimenti e comportamenti umani, potenzialmente infiniti.

In terapia il tema dell’amore è centrale, non solo per le coppie. Seguire il paziente nelle sue vicissitudini amorose è fondamentale per comprenderlo nel profondo. I vissuti che riguardano il desiderio di stare bene in una dimensione di coppia sono sempre così intensi e struggenti a tutte le età che facilmente fanno capolino nella relazione terapeutica sia nella difficoltà di accedere ad una relazione amorosa, sia nella difficoltà di scegliere, di portare avanti la relazione o di uscirne, di fare i conti con l’altro tanto desiderato.

Gli autori ci hanno parlato dell’amore nelle sue varie forme.

Come per ogni dimensione che esploriamo dell’essere umano, dobbiamo tenerne in considerazione la natura biologica, psichica e sociale. Questo comporta anche che ciò che diciamo va contestualizzato in una certa epoca e cultura.

Certamente noi abbiamo ereditato da Platone il mito dell’amore come ricongiungimento con l’altra metà da cui siamo stati originariamente separati. Ecco allora che circola l’idea di dover ricercare quell’unica persona destinata a noi senza che la nostra volontà o consapevolezza possa in alcun modo interferire sul coinvolgimento emotivo. Oppure ci pensiamo prede inerti di un cupido-bambino che tira frecce per sua capricciosa volontà.

Dell’amore sorprende questa misteriosa possibilità di “interpenetrazione reciproca con la soggettività dell’altro” (Grotstein, 2000). Siamo due ma siamo anche uno, un noi che non può essere ridotto a somma tra le parti ma che è nuova costruzione, altro dalla nostra individualità conosciuta, nuova identità. Nel tentativo di fonderci con la persona amata l’amore ci obbliga a fare i conti con la nostra illusione di indipendenza.

La persona amata è stata pensata da alcuni autori come l’oggetto ri-trovato, la persona cioè che in qualche modo ci lega al mondo relazionale da cui proveniamo, simile a nostra madre o a nostro padre che hanno segnato le nostre prime esperienze amorose.

Certamente le prime risposte d’amore che ci vengono date risultano molto importanti per la costruzione della nostra identità futura e anche della possibilità di aprirci alla dimensione relazionale, o perlomeno della modalità con cui lo faremo.

Balint ci illumina del concetto di “amore primario” che, se pur chiamato in altro modo, risulta evidente in chi si occupa di puerpere. Nei primi mesi di vita, infatti, il bambino si dispone in attesa di un amore sconfinato che la madre non disattende, spendendosi totalmente per il suo piccolo senza aspettarsi nulla in cambio. In questo modo al bambino, ancora fragile e incapace di tenere insieme le contraddizioni del mondo, viene data la possibilità di pensare che sarà amato sempre e comunque, senza sforzi da parte sua. Se questo, per qualche problematica, non può avvenire e il bambino non può fare esperienza dell’amore passivo, si sviluppa in lui una grande sofferenza che esprimerà con la ricerca rabbiosa, anche da adulto, di essere amato senza riuscire ad amare. L’amore immaturo si manifesterebbe, in seguito alla mancata totale dedizione materna, come necessità di soddisfare tutti i bisogni in modo immediato e puntuale palesando però, sotto questa richiesta onnipotente, un’assoluta dipendenza dall’oggetto. E’ la sofferenza, dice Balint, che rende cattivi.

Per altri autori la spinta distruttiva dell’odio si accompagna alle prime esperienze d’amore se non addirittura le precede. Odio e amore sembrano inscindibili nell’esperienza umana e forse non interessa ai fini della salute psichica quale dei due venga prima ma piuttosto come e se riusciamo a tenerli insieme e a tollerare che entrambi ci appartengano e appartengano alla nostra relazione con gli altri. L’odio è l’esperienza che facciamo della mancata fusione, la disillusione dalla possibilità di com-prendere tutte le esperienze di vita, la fatica ad accettare la solitudine. Odiamo chi non ci ama.

Ma l’amore è anche pensato come possibilità di andare oltre questi oggetti passati e interni. Altro motivo di ricerca di un amore, infatti, in qualche modo sostenuta anche dalle leggi biologiche, è la spinta incessantemente evolutiva che abbiamo noi esseri umani. Nell’amare ci mettiamo infatti anche la nostra speranza di poter riparare al passato, ci diamo una chance per trasformare il futuro, per far parte di qualcosa di diverso.

L’amato diventa, tenendo conto di entrambi gli aspetti, il nuovo -familiare-. In lui ci riconosciamo come se fossimo legati da sempre ma ci sorprendiamo per i nuovi vissuti di cui si arricchisce la nostra esistenza, la possibilità di vederci diversi, di fare un nuovo progetto.

L’autore che però mi pare aver intuito l’aspetto più importante dell’amore, quello che inevitabilmente evidenziamo se ci innamoriamo e che altrettanto fortemente allontaniamo quando ci chiudiamo alla possibilità relazionale, è Bion. L’amore, l’odio e la conoscenza sono legati nell’opera di Bion.

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